Carissimi amici della Fondazione Francesca Rava, sono tornato dall’Honduras e desidero condividere con voi la mia meravigliosa esperienza. Si dice che ci si abitua alle emozioni, ma io, anche dopo i miei innumerevoli viaggi, non ci sono ancora riuscito. In ogni posto ho lasciato una parte di me! Per ogni partenza, a parte quelle legate al tragico evento del terremoto, c’è sempre una programmazione e la necessità di risolvere vari problemi di logistica. Come sempre quindi, prima di partire, cerco informazioni sul posto in cui devo recarmi: l’Honduras è uno dei paesi più violenti dell’America e il secondo più povero dopo Haiti. Niente di nuovo per me: se sono partito per conto della Fondazione è perché sicuramente si tratta di un posto in cui c’è bisogno di aiuto. E’ un paese ,infatti, dove la violenza la percepisci dalle stesse persone: pochi sorrisi e alla sera c’è una specie di coprifuoco. Ad Haiti, pur con i suoi innumerevoli problemi, la gioiosità delle persone non manca mai. L’Honduras è un paese dove, tanto per restare in tema con il mio lavoro, è più facile trovare cocaina che farina, così diverso dall’idea che un noto programma televisivo ha dato della sua parte caraibica!
Alla Casa-orfanotrofio un gruppo di bambini piccoli ci stavano aspettando davanti al nostro alloggio: tutti con un cappello da cuoco e un cartello tricolore con la scritta “Bienvenidos”. Dagli abbracci e sguardi ho capito che ci aspettavano con impazienza; sicuramente c’era tanta curiosità di vedere in funzione quello strano container bianco arrivato giorni prima dall’Italia con il logo della Fondazione . Mi accorsi subito di non averli delusi: era proprio un tipo come me che aspettavano! un uomo piuttosto in carne, con i baffi, proprio come quello che era disegnato sui sacchi di farina con la scritta “panadero”. Ecco, era arrivato il panadero! Durante la notte, a causa del fuso orario, ma forse per la preoccupazione di deluderli, non ho dormito. Ho cominciato a pensare a una ricetta per il giorno seguente. Di solito non preparo a casa nessuna ricetta ma aspetto di vedere che tipi di farine avrò a disposizione. In più era anche la prima volta che non conoscevo la tipologia delle attrezzature che avrei trovato perché, proprio durante l’invio del container, mi stavo occupando di quelli inviati a Fond-des-Blancs ad Haiti.
Al mattino ho conosciuto i ragazzi che mi avrebbero dovuto affiancare e che avrei dovuto formare nel lavoro della panetteria. Ci siamo messi al lavoro: 5 ragazzi al mattino e 5 al pomeriggio; il forno era di piccole dimensioni come anche l’impastatrice: una struttura ideale per la formazione dei futuri panettieri, ma di una capacità produttiva limitata in relazione ai tanti bambini e volontari presenti nella struttura. Considerata la tipologia del forno, ho optato per la produzione di filoni da 1 kg che poi, per soddisfare l’appetito di tutti, sarebbero stati tagliati a fette Mi sono ingegnato come ho potuto: nella scuola professionale dell’orfanatrofio – settore falegnameria – sulla base di un piccolo schizzo, immediatamente mi hanno fatto una pala per infornare e sfornare. I ragazzi mi guardavano sorpresi con questo strano attrezzo a forma di mazza da cricket!
Abbiamo così iniziato a lavorare. Mi sono accorto subito di avere a che fare con dei ragazzi molto svegli, abituati a lavorare. In questa Casa-orfanatrofio, infatti, c’è una vera fattoria in cui i bambini a turno lavorano dopo gli impegni scolastici. Niente di particolarmente pesante, ma lavori da svolgere con cura. Nonostante l’impegno che si prefigurava, la felicità nei loro volti era invidiabile e difficilmente traspare nei nostri ragazzi. Permettetemi una considerazione: tutti i nostri vecchi ci raccontano dei molteplici impegni che avevano da bambini, anche lavori abbastanza duri, e ci dicono che in gioventù hanno patito molto la fame, ma nessuno era infelice.
Mentre lavoravo con i ragazzi, ho chiesto loro da quanto tempo fossero in questa struttura. Alcuni ne parlavano con piacere, altri no, come se avessero chiuso con il loro passato o perché troppo piccoli per ricordarsene. Maria Luisa, una delle ragazze della panetteria, è nella Casa con due sorelle e all’età di 10 anni ha assistito all’assassinio di suo padre e alla fuga della madre; mi raccontava che, diventata grande, con le sue sorelle sarebbe andata a cercarla e, se lei lo avesse voluto, l’avrebbero anche aiutata. Invece Carlos non avrebbe cercato il padre che, da ubriaco, gli aveva procurato quelle cicatrici di cui era pieno; anzi, forse, se lo avesse incontrato lo avrebbe menato. Mi immagino le sofferenze e le umiliazioni che deve aver provato, visto anche i segni sul suo corpo!
Il pane era bellissimo; ho optato per un impasto di farina bianca di grano tenero e una parte di farina integrale ricca di fibre, con una percentuale di olio vegetale. Dopo le prime distribuzioni ho avuto anche conferma che era molto buono: ormai ero il mito dell’orfanatrofio, “el panadero” che faceva il pane “muy rico” .
I bambini mi correvano incontro e mi abbracciavano! Non potete capire, ma è una sensazione bellissima essere ancora una volta la persona giusta al posto giusto! Gli ultimi giorni mi sono limitato ad osservare i ragazzi che facevano praticamente tutto da soli: riuscivamo a fare 90 filoni da 1 Kg! Un miracolo per le dimensione del forno! I filoni venivano divisi in 12 fette, che bastavano per la prima colazione e la cena; a mezzogiorno, tanto per non perdere l’abitudine, venivano servite le tortillas ma i bambini non le volevano più perché preferivano il pane del panadero. E sarò di parte, ma c’era anche una bella differenza!
Non so se potete capirmi, ma l’emozione della partenza è stata grande e forse, leggendo queste mie riflessioni, ci riuscirete. I bambini e i ragazzi che mi salutavano con un ciao (ormai chi si avvicinava alla panetteria non parlava più in spagnolo). Quando ritornerò avrò migliorato il mio spagnolo, ma sono sicuro che sicuramente qualcuno parlerà l’Italiano.
Grazie Mariavittoria, grazie Fondazione Francesca Rava per questa ulteriore esperienza! Dobbiamo sforzarci tutti per far sopravvivere queste realtà che sono un paradiso per bambini sfortunati. Le Case N.P.H. sono sicuramente il posto migliore in cui un bambino possa essere accolto.
Leggi qui l’articolo apparso il 21 Maggio 2012 sulla Gazzetta di Mantova.
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